‘Micio…? Micio ci sei?’ Ieri sere il mio gatto non c’era nella sua scatola calda calda ripiena di paglia in giardino.
Così mi sono resa conto di tante cose, e soprattutto di quanti e quali modi uso per chiamare il mio gatto. Perchè il mio gatto non ha un nome.
Giuro, non ha un nome: non siamo mai riuscite a trovarne uno adatto, io e mio sorella, e così per la maggiore lo chiamiamo ‘Micio’.
Ma però a questo nome se ne aggiungono altri mille, a seconda del contesto e della situazione, tanto che il mio gatto ormai penserà tra sè e sè di essere uno di quegli eroi pirandelliani senza identità, come il Gengè protagonista dell’opera che ho citato nel titolo (a proposito se non l’avete letta, fàtelo! è meravigliosamente isterica! e realistica!).
Ma comunque lui risponde sempre.
Vi spiego.
Quando chiamo il mio gatto e sono in vena di coccole, lo chiamo Micio, Ciccio (abbreviativo di Micio ma più dolce), Micio- gatto (termine coniato dal mio moroso), o Gatto-micio (ironizzando sul termine coniato dal mio moroso).Ciccione o più affettuosamente Cicciolo (per far notare che è un bel gattone pesante pesante…).
Quando sono in vena di farlo giocare, il mio gatto si trasforma in Monster (soprattutto quando fa gli agguati e tira all’indietro le orecchie) o Mostro, all’italiana, quando è un Monster ma un po’ meno attivo. O Mostricino quando fa il mostro ma è tenero tenero.
Quando si rotola per terra e si fa accarezzare la pancia, il mio gatto si chiama Panza, o Panzer, o Barbablù quando è particolarmente sporco.
Insomma credo che a lui non importi come lo si chiama, sa che è questione di affetto: quel che gli importa è farsi coccolare, come tutti i gatti del mondo, e credo che possa sopportare la pazzia della sua padroncina, che invece di dargli un nome gliene affibbia centomila… (anche per la gioia della vicina che sentendomi chiamare ‘Ciccio- Ciccione- Ciccetto’ pensa che io sia una poco di buono e spettegola dal mattino alla sera pensando che io parli con chissachì di chissachè…)
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